martedì 29 gennaio 2008

Se il Nobel è maschio

Immaginate di occuparvi di ricerca scientifica, di fare una scoperta sensazionale, così importante da meritare il Premio Nobel. Immaginate che quel premio venga assegnato al vostro supervisore, invece che a voi. E che il motivo sia l’essere una donna. Questa storia, solo nelle 106 edizioni del premio riservate alla fisica, si è ripetuta almeno 6 volte, "vittime" astronome, biologhe e fisiche di tutto il mondo.
Una di loro si chiama Jocelyn Bell-Burnell, è nata in Irlanda nel 1943 e il suo Nobel mancato risale al 1974. Ha scoperto la prima pulsar, una stella di neutroni rotante ad altissima velocità riconoscibile da un segnale che pulsa regolarmente. La sua carriera è andata avanti, ma oggi lei riassume così l’assenza di parità di genere nella scienza: «Non è facile essere una donna nel lavoro. Non lo è mai stato e non lo sarà mai. E non perchè la donna sia incapace, semplicemente perchè non è un uomo».

A distanza di quasi quarant’anni dalla scoperta della prima pulsar, la storia sembra mettere alla prova la società scientifica e, più in generale, i progressi in materia di pari opportunità. Nel 2005 Marta Burgay, un’altra giovane scienziata, questa volta a Cagliari, ha scoperto la prima e sinora unica pulsar doppia: due stelle di neutroni di appena qualche chilometro di diametro, che orbitano una intorno all’altra in sole due ore e mezza. Forse qualcosa è cambiato, almeno perchè nessun uomo è stato premiato al posto della trentaduenne Burgay, che ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il massimo premio europeo per la ricerca scientifica, l’Excellence in scientific collaborative science. Ma secondo la giovane Burgay, di origine torinese, non ci sono dubbi: «Sono stati fatti passi in avanti ma la discriminazione esiste ancora, e lo dicono le cifre. Nel mio campo le ragazze sono il 50% del totale degli studenti, mentre le ricercatrici scendono al 20% e le professoresse ordinarie diminuiscono fino a meno del 10%».

Chiediamo alla Bell-Burnell se pensa che oggi il Nobel sarebbe assegnato a lei invece che al suo capo. Risponde di sì, ed è evidente la sua difficoltà a riconoscerlo. La società scientifica, trent’anni fa, non voleva riconoscere che una donna potesse essere capace quanto un uomo. Oggi, chissà.